Antonio Fogazzaro
La rilettura dei romanzi di Fogazzaro e il camminare aiutano a coltivare la sensibilità per l’ambiente, guidano ad ammirare il paesaggio che racconta se stesso, a scoprirne e riscoprirne le forme, a non essere indifferenti, anzi, a restare stupefatti, e invogliano a vivere un’esperienza rigenerante e di arricchimento culturale. Le suggestioni letterarie e paesaggistiche affinano il nostro sguardo verso la Bellezza.
Antonio Fogazzaro nasce a Vicenza nel 1842 da famiglia benestante, attivamente impegnata nella lotta antiaustriaca. Ha come insegnante il poeta don Giacomo Zanella, insigne letterato vicentino. Si laurea in legge a Torino nel 1864, poi soggiorna a Milano, dove esercita la professione di avvocato. Si sposa nel 1866 con Margherita Valmarana, tre anni dopo torna definitivamente a Vicenza e si dedica all’attività letteraria, è anche membro della Congregazione della Carità, del Consiglio Scolastico Provinciale, ricopre le cariche politiche di consigliere comunale e di senatore, è primo Proboviro della Banca Popolare di Vicenza, è presidente della Società del Quartetto e dell’Accademia Olimpica.
Dopo il poemetto Miranda e la raccolta di versi Valsolda, il primo romanzo, Malombra è del 1881, il successo e la fama arrivano con i romanzi successivi, Daniele Cortis (1885), Il mistero del poeta (1888), Piccolo mondo antico (1896), Piccolo mondo moderno (1901), Il santo (1905), Leila (1910), questi ultimi due condannati all’indice.
Con due immagini dinamiche si può abbozzare il ritratto di Antonio Fogazzaro.
La prima è Cavaliere dello Spirito
, come emerge da una corrispondenza intrattenuta con Matilde Serao, per qualificare il Fogazzaro come scrittore che tratta della crisi della famiglia, della necessità di rinnovamento della Chiesa, del rapporto tra fede, scienza, eros e morale.
La seconda, coniata da Giovanni Papini, è palombaro in quel mar di sargassi e di mostri ch’è l’anima umana
, poiché Fogazzaro descrive prima di altri i meandri e le ambiguità dell’anima moderna.
A queste si può aggiungere quella di uno scrittore gentiluomo, abituato a vivere in ville patrizie elegantemente arredate, benestante, svincolato da ogni questione di vita pratica, abilissimo nell’ osservare le cose e le anime, con una delicata vena di poesia.
Io vedo un mondo diverso da quello che vedono i miei confratelli d’arte, diverso dal vero insomma.
Io non vedo i grandi uomini che tutti vedono, e vedo poi delle donne grandi che nessuno conosce. Vedo in tutte le anime qualche riflesso bagliore di una luce ignota, di una idea sovrana.
Né le vendo le lenti, né le spezzo, le tengo, le faccio legare in oro perché mi ricordino il generoso fuoco del mio cuore quando s’illudeva, folle ma felice, di penetrar con esse l’universo, per trarne, secondo una propria idea dell’arte, fantasmi d’anima eterna o vive ombre di esseri, perché mi ricordino qualche spirito fedele e ardente.
Per restare su quanto Fogazzaro diceva di se stesso e della propria esperienza di romanziere:
Io traggo il mio libro, parte da altri libri, parte dal vero delle cose, parte dall’anima mia profonda; perché essa pure è un cielo pieno d’ombre e di astri che sorgono, tramontano e risorgono ancora senza posa e v’hanno abissi in fondo a lei che l’occhio interno non penetra.
Da quanto letto, emergono le fonti dei materiali delle sue opere: i libri di altri autori, il “vero” riferito agli ambienti, alle esperienze di vita vissuta e ai personaggi della vita politica e religiosa del tempo, ma soprattutto all’esplorazione dei sentimenti e del destino umano.
Fogazzaro esplora la sua anima, scossa dalle tensioni tra virtù e passione, ma nutrita dall’evoluzionismo cristiano, dall’impegno politico e dal panteismo spirituale.
Possiamo scoprire altri aspetti della personalità di Fogazzaro attraverso i commenti di un altro scrittore vicentino: Guido Piovene, che, con delicata sensibilità, coglie delle interessanti analogie tra carattere di Fogazzaro e morfologia del territorio quando scrive in un articolo del 1942:
Egli rifuggiva troppo dal definito, dal rigido degli abitati; ed il paesaggio vicentino, tanto sfumato e morbido, tutto evasivo ed impreciso, composto di molti elementi ognuno dei quali impedisce all’altro una definizione totale, convenne a meraviglia al suo temperamento. Un paesaggio composito: dove ai languori veneziani, a certi cieli di pianura beati che sanno già di mare e quasi d’Oriente, si associano, a poca distanza, le punte dolomitiche, le grandi vallate prealpine. Questo piaceva a Fogazzaro, a quel suo animo aspirativo ed incerto, fluttuante tra molte e spesso opposte fantasie, e che cercava per ognuna di esse la compiacente e contemporanea accoglienza dei prati, dei boschi e dei monti. Ma anche la vita di villa, poiché in quella provincia fu elaborata una delle più compiute arti di villeggiare.
Il gusto del picco nudo, tutto roccia, buttato verso l’alto, simile a un grido nel silenzio, ma sorgente dal verde e dalla vita sensuale e fiorita dei boschi e delle praterie, è del resto la nota di paesaggio più costante della sua arte. Si direbbe che a lui piacesse non la montagna raggiunta, ma la montagna veduta dal basso e da lontano, quando è aspirazione, favola, luogo di immaginazione, e quasi ideale di vita religiosa inadempiuta.
Nei diversi romanzi di Fogazzaro il paesaggio non è mai fisso ma assume comportamenti vivi che sottolineano i cangianti sentimenti dei protagonisti, ha le entrate in scena di un “attore”, reagisce dispensando “suggerimenti”.
Altri frammenti per colorare di toni vibranti il ritratto del romanziere, si riferiscono al Fogazzaro “geografo” e “botanico”, e questi aspetti possono essere un modo accattivante per invogliare a leggere i suoi romanzi, perché Fogazzaro non è solo un attento osservatore dell’animo umano ma è anche un amante della terra e della natura.
Dai fianchi giganteschi delle nostre montagne ai lidi poetici dei nostri mari, quante scene incomparabili non ci profuse la natura da collocarvi ogni sorta di fantasie dalle più austere, alle più ridenti! […] ben pochi guardano la nostra natura.
Fogazzaro dunque “geografo” e “botanico” perché esprime l’amore per il paesaggio, per le piante e i fiori, legato alla sua esperienza quotidiana carica di ricordi, lo spazio è quello limitato al suo vissuto, non mero sfondo, ma insieme di luoghi precisamente localizzabili tra Montegalda, Vicenza e la Val d’Astico, da buon geografo misura lo spazio, in modo semplice: con la passeggiata, elemento ricorrente nei romanzi e occasione in cui si manifestano le emozioni dei personaggi, dalla curiosità, alla paura, dall’entusiasmo, fino alla commozione.
Fogazzaro, poi, come geografo scopre, radicato nella terra natia, il “piccolo” mondo in cui la serenità è raggiunta, non con il quieto vivere, ma con i gesti della consuetudine, con sacrificio e dolore. Il piccolo mondo è però anche scosso dall’inquietudine dell’anima e dalla precarietà dei rapporti umani.
L’originalità di Fogazzaro sta nell’interpretazione: il paesaggio, non freddo e impersonale, ma vero e proprio individuo trasfigurato e animato, entra in correlazione con le tormentate vicende dei protagonisti dei romanzi, diventa specchio e interlocutore, invia messaggi e consensi, è un confidente delle verità nascoste nell’animo dei personaggi.
Il Fogazzaro, rievoca in modo affettuoso, si sofferma con uno sguardo fine, ma al tempo stesso carico di tenerezza, sullo spazio in cui la sua anima palpita e soffre, questo stesso spazio dà modo al lettore di partecipare al “piccolo” mondo.
Ma, mentre in questo mondo la città ha toni di mistero e di solitudine, il luogo idoneo per la vita quieta è la campagna, lì si aspira a un’esistenza di pace, lì è il rifugio dall’inquietudine e dall’ansia, lo spazio incantato (adatto, come sosteneva Piovene, all’animo “aspirativo e fluttuante” di Fogazzaro).
Per proseguire nell’itinerario nell’anima di Fogazzaro e conoscere meglio la sua geografia, scopriamo un altro elemento: la natura, animata dagli stessi sentimenti dell’autore che si cela dietro i suoi personaggi, produce suggestioni multiformi attraverso voci, suoni, luci, ombre, e dà vita allo spazio circostante innescando una reazione che lo trasforma in “prolungamento” dello stato d’animo dei personaggi.
Si tratta di voci e suoni, che impattano sulla zona indefinita tra anima e sensi, mossi dalla montagna per la solitudine o il raccoglimento, dal lago per i pensieri gravi o misteriosi, dal fiume per la presenza uditiva spesso rombante, dalla pioggia per il pianto, dal vento per l’inquietudine oppure per la purezza del paesaggio, anche il giardino ben curato, i fiori, casti e puri, o voluttuosi e inebrianti e certi tipi di alberi, aggiungono un clima di intimità e rispecchiano la vita interiore dei personaggi.
Per essere invogliati a leggere i romanzi di Fogazzaro e godere delle suggestioni letterarie e dell’ambientazione in territorio vicentino, è interessante analizzare la corrispondenza tra stati d’animo dei personaggi e paesaggio, proponiamo quindi di seguito delle citazioni tratte da: Daniele Cortis, Piccolo mondo moderno e Leila.